"Esiste il Partito: maggioranza e minoranza spariscono davanti alla volontà del Partito che è una" Diceva Giovanni Conti in una lettera a Piero Pergoli, della quale abbiamo già pubblicato sul nostro giornale un ampio stralcio: "I metodi non si fondono e non si confondono". Esistono le leggi dello Stato, alle quali i cittadini devono sottostare ed esistono gli Statuti dei partiti, o di altre associazioni, o di Fondazioni, a cui gli aderenti si devono adeguare. Statuti e ordinamenti si conoscono, o almeno si dovrebbero conoscere al momento in cui si aderisce ad un organismo qualunque. E talvolta, per l’appunto, l’osservanza delle regole vale più del merito delle proprie idee, le quali, se in contrasto con quelle della maggioranza, nel caso si condividessero le idealità dell’associazione di cui si fa parte, devono soccombere adeguandosi a quelle che sono le regole statutarie. Per qualsiasi cittadino non vale pensare che una legge dello Stato sia giusta o meno: fin quando essa è vigente è costretto suo malgrado a doverla rispettare. Nel Partito Repubblicano Italiano il rispetto delle regole e l’adeguarsi ai metodi che ne tracciano la comune convivenza sono più validi che altrove. Altrove non si dibatte e spesso, molto spesso, non esistono nemmeno gli organismi decisionali ai cui deliberata bisognerebbe uniformarsi. La storia del PRI è costellata di amici autorevoli, che quando hanno pensato di non doversi o potersi adeguare, hanno lasciato il Partito o addirittura sono stati espulsi con decisioni probivirali. Potremmo cominciare dalla fine dell’800 con Francesco Crispi, per passare a Salvatore Barzilai ai primi del ‘900, proseguendo fino all’avvento del fascismo quando Italo Balbo, fervente repubblicano, aderisce al PNF insieme a Casalini, allora addirittura segretario del PRI. Potremmo pensare ai tanti che, non credendo nelle forze repubblicane per la lotta al fascismo, aderirono al Partito d’Azione (Reale) e, venendo al dopoguerra, abbiamo l’abbandono di Giovanni Conti, colui che fu una figura storica del repubblicanesimo, maestro politico e professionale di Randolfo Pacciardi. Conti si dimise dal PRI non essendo d’accordo sull’avventura somala, poco prima di essere deferito ai probiviri. Sorte più nefasta toccò a Pacciardi che nel dicembre 1963 fu espulso dal Partito perché non votò la fiducia al primo governo di centrosinistra. E potremmo continuare a ricordare tanto da riempire un intero volume, arrivando agli anni ‘90, quando quasi l’intero gruppo dirigente abbandonò il PRI per contrasti con l’allora leadership. In chiusura il Congresso di Bari del 2001 con la scissione del MRE. Diceva Bovio (pag. 341 in "L’idea repubblicana"): "Ma come potrebbe mai sparire questo partito quando l’ultima parola nostra non è detta ancora, non è attuata che qualche piccola parte del nostro programma quando un gran cammino si ha da fare ancora per arrivare a quella parola nostra e quando verso quella parola è la tendenza di tutti gli stati civili d’Europa". Cerchiamo di conciliare l’Ideale con il Reale. Sarà molto difficile, poiché lo scontro tra il pensiero e la dura realtà ci porta spesso a rinchiuderci in torri eburnee, perdendo qualsiasi contatto con la realtà e pensando che le nostre idee siano di gran lunga superiori a quelle degli altri. Questo può valere per i dogmi papalini non certamente per i laici repubblicani, la cui unica vera religione è il dubbio. Vale per tutti quello che Randolfo Pacciardi scrisse su "La Voce Repubblicana" nel febbraio del 1946: "Il Partito si è ormai pronunciato e quando il Partito si è pronunciato non esistono più uomini, per quanto amati e apprezzati. Esiste il Partito: maggioranza e minoranza spariscono davanti alla volontà del Partito che è una". Pacciardi fu espulso nel ‘63 e il lodo probivirale così concludeva: "I repubblicani sono nel PRI, al posto di responsabilità e di lavoro ad essi indicato da quello che sentono essere il loro dovere politico". |